Avvalendosi dell'esperienza acquisita in oltre quarant'anni di lavoro in ambito diplomatico, Sergio ROMANO, ambasciatore a Mosca nei fatidici anni dall'85 all'89, traccia un preciso e dettagliato resoconto degli anni dal secondo dopoguerra in poi.
Particolarmente attento ai fatti e agli avvenimenti, anche minori, della politica interna ed internazionale, l'Autore si muove tra essi con estrema agilità connettendo e ricollegando fra loro situazioni sociali, economiche, politiche, storiche per giungere a conclusioni conseguenziali e logiche.
Lo stile scorrevole ed accattivante, che quasi prende per mano il lettore rendendolo ansioso di girare pagina, facilita l'approccio e la partecipazione alle vicende che si svolgono sullo scacchiere internazionale.
In un disegno organicamente ben costruito, assistiamo così allo sfilare di cinquanta anni di storia: dalla conferenza di Yalta, in cui vennero fissati gli equilibri politici del dopo guerra che sanciscono anche la divisione dell'Europa, agli inizi della guerra fredda che videro spezzarsi subito la fievole alleanza di due superpotenze, ciascuna portatrice di un messaggio globale, contrapposto radicalmente a quello dell'altra, sul modo di assicurare il benessere e il progresso dei popoli.
Da questo avvio si dipana, in un crescendo che giunge fino ad oggi, la trama di una fitta rete di intrecci internazionali fatti di contrasti talora violenti ed esacerbati, talora più sommersi e subdoli, ma forse per questo ben più pericolosi.
Si delinea la tendenza al colonialismo di tutte le potenze, europee e non, finalizzata alla signoria sulla economia e sulla politica dei possedimenti. E dove alcune potenze resistono strenuamente nella difesa del proprio "posto al sole", costruito spesso sulla prevaricazione e sull'abuso, altre tentano compromessi pretestuosi che mirano comunque a mantenere, se non altro, dei "vantaggi" derivanti dai legami con quelle aree.
Ampio spazio è dedicato alle problematiche dell'Africa, i cui Stati mostrano la fragilità derivata loro dal non essere nazioni propriamente dette, ma Stati senza nazione creati a tavolino senza alcun rispetto dei confini storici o naturali o del più semplice "buon senso" che dovrebbe concedere uno Stato a un popolo omogeneo per lingua, usi, tradizioni, culti, riti.
E anche all'America Latina, universo fortemente legato agli USA da rapporti particolarmente stretti eppure segnati da violente esacerbazioni nazionaliste. Una storia, quella latino-americana, che risente della dipendenza economica basata sulle importazioni ed esportazioni nei confronti degli altri Stati e su riforme agrarie mai perfettamente delineate.
Particolarmente ben descritta è la fine graduale della guerra fredda, con i piccoli segnali che ne evidenziano la progressiva trasformazione da un cauto dialogo a una collaborazione più fattiva: dalla Conferenza per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa del 1973 ai primi tentativi di modernizzazione attuati da Gorbacëv dall'85 in poi, agli incontri fra il padre della perestrojka e il Presidente USA Bush nel 1989 e 1990, fino al crollo del muro di Berlino e alla dissoluzione dell'URSS del 1991.
Acuta e precisa la cronaca dei fatti jugoslavi che vedono nella morte di Tito e nella perdita del collante ideologico la molla che innesca, ancora una volta come già successo più volte negli ultimi cento anni, la conflittualità interetnica e l'odio sociale sfociati nell'attuale guerra civile.
A conclusione del suo viaggio nella Storia, l'Autore afferma di dubitare che sia possibile prevedere nella loro dinamica i futuri sviluppi, ma sostiene che l'impatto della sorpresa potrà comunque essere attenuato dall'attenta sensibilità verso temi più scottanti.
Fra questi, egli cita "l'orgoglioso sentimento dell'identità unitaria" che può svilupparsi nelle entità nate dalla disgregazione dei vecchi Stati: alcune scompariranno assorbite da Stati più potenti nella regione, altre sopravviveranno all'interno di nuove realtà economiche.
Non va trascurato, poi, il problema dei grandi flussi di popolazione: profughi, emarginati, disoccupati, sottoccupati, vessati da regimi totalitari. Essi coincidono con la crescita demografica del Sud del mondo e ancora per molto porranno problemi agli Stati che si configurano come più ricchi (intolleranza, xenofobia, razzismo da frenare e impedire, ma anche modalità di aiuti e finanziamenti da discutere o delineare).
È, infine, importante valutare come "la Società Internazionale cercherà di governare il disordine mondiale". "È inutile sperare" - chiude l'ambasciatore Romano - "che l'ONU possa assicurare l'ordine mondiale. È più realistico constatare che dall'organizzazione e dalla sua capacità di controllare, almeno in parte, la conflittualità internazionale dipende in ultima analisi il tasso di disordine con cui dovremo convivere nei prossimi anni."
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